Spazio al connubio tra cucina giapponese e napoletana
Chiara Nicoletta Puzzillo, Cristin Kooliath, Asya Mazzoli, Alessandro Neri e Laura Pintus
A Napoli, da qualche anno, si è diffusa l’influenza della cucina giapponese, tant’è che molti chef rinomati hanno voluto fondere le due culture culinarie facendo nascere nuove creazioni.
Ad esempio Francesco Franzese, chef del Rear A Nola, famoso per il suo Ramen Campano, ovvero un piatto ispirato alla tipica ricetta dove al posto dei noodles e dell’uovo sodo morbido marinato in aceto e salsa di soia, ci sono i tagliolini all’uovo fatti a mano, con lingua di vacca, braciola di maiale, guancia di vitello, minestra nera e porro, tutto immerso in brodo dashi.
Sasà Giugliano, come si legge in un articolo di Leonardo Ciccarelli sul sito online Cookist, dice: “Entrambe le cucine usano tecniche semplici, tramandate da anno in anno, senza mai arrivare ad usare la tecnologia. La pazienza è una virtù fondamentale sia nella cucina giapponese che in quella napoletana: ci sono piatti lunghi, fatti di attesa e concentrazione, di silenzio e amore”.
Pazienza e passione, quindi, accomunano la cucina giapponese e italiana e ci fanno capire l’importanza della tradizione da entrambi i punti di vista.
Il concetto di “cucina fusion”, del resto, è interessante. Perché, se ci pensiamo, ogni cucina è fusion: senza l’incontro tra i vari popoli nel corso della storia non esisterebbe alcun piatto. Basti pensare alla pizza, uno dei piatti più famosi al mondo, fatta con il pomodoro importato in Europa dopo la scoperta dell’America e con l’impasto che è un discendente dei lievitati egizi.